lunedì 15 settembre 2008

PERCHE' NON SIAMO ANTIFASCISTI

Non perderò del tempo nel polemizzare personalmente con il presidente della Camera che ha sentito il dovere di precisare il suo giudizio sul Fascismo; giudizio che appare evolversi sempre di più verso una visione conformistica ed aderente alla più datata storiografia marxista. Ognuno può formarsi autonomamente un giudizio; personalmente ritengo tale atteggiamento del tutto analogo moralmente a quello di un figlio che venda la casa paterna avuta in eredità per comprarsi un’autovettura di lusso da regalare ad un’amante o di chi sputi sulla memoria di un generoso mecenate che gli ha lasciato un inestimabile legato testamentario. Entrando nel merito delle affermazioni la equazione democrazia – antifascismo (tutti i democratici non possono che dirsi antifascisti e quindi, poiché siamo democratici siamo antifascisti) è profondamente ingannevole e fuorviante.Il Fascismo non fu sostenuto da una ideologia, non nacque a seguito di una elaborazione filosofica, non tentò di concretizzare alcuna visione della vita e del mondo.Il primo tentativo di elaborare una definizione storico – filosofica del Fascismo fu di Giovanni Gentile che si prodigò nel non facile compito quando Mussolini guidava il governo già da alcuni anni. Il filosofo di Castelvetrano, il cui grado di intelligenza era pari mediamente alla somma di quello dei componenti di quindici governi attuali, si vide correggere l’opera dallo stesso Mussolini, segno evidente che il padre dell’attualismo, unanimemente considerato tra i maggiori pensatori del novecento, non era stato in grado di cogliere pienamente quanto il Duce riteneva essenziale per descrivere il suo movimento. Questo per dire come il Fascismo quando si affermò era un movimento politico disancorato da un pensiero guida e che raccoglieva al suo interno pulsioni, ideali, interessi e sentimenti a volte opposti. Mussolini fu innanzitutto un grande politico che seppe coagulare tutti questi interessi, rappresentando un blocco sociale variegato e però maggioritario nel paese, portandoli al potere con uno sforzo organizzativo notevole per l’epoca e con uno spargimento di sangue che, stante le condizioni sociali e la fortissima contrapposizione di piazza organizzata da socialisti e comunisti, possiamo definire insignificante. Si pensi alle centinaia di migliaia di vittime della rivoluzione d’ottobre che si era conclusa appena cinque anni prima. Si può replicare che il Fascismo aveva però nel suo DNA l’illiberalità, la coercizione delle libertà democratiche ed un pensiero che tendeva all’emarginazione delle minoranze, degli osservanti di culti religiosi diversi, degli stranieri.Niente di più falso. Il Fascismo fu certamente un regime totalitario, ma non dittatoriale come sbrigativamente affermato nell’esternazione finiana. Infatti per tutta la sua esistenza restò in carica con tutte le sue caratteristiche e poteri la monarchia, tanto è vero che fu il re a destituire Mussolini ed a nominare Badoglio, prendendo spunto da un semplice ordine del giorno del gran consiglio, organo incompetente a richiedere la sostituzione del primo ministro. Così come non può sottacersi che il Fascismo regolò i rapporti con un’altra istituzione determinante in Italia, la Chiesa cattolica, di cui non solo assicurò la prerogative, ma rispettò l’organizzazione extra statuale. Il Fascismo andò al potere in modo costituzionale, nel rispetto dello statuto albertino e senza colpi di forza; le squadre fasciste arrivarono a Roma quando il re aveva già rifiutato di firmare lo stato di assedio proposto da Facta ed incaricato Mussolini di formare il governo. E’ vero che poi varò le leggi fascistissime con lo scioglimento dei partiti politici e l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, ma questo accadde dopo le elezioni del 1925 che il listone nazionale vinse con oltre il 60% dei voti. Quindi il regime fascista fu certamente totalitario ma il totalitarismo fu conseguenza di un’occasione fornita dalle contingenze favorevoli e non era insito nel DNA del movimento che contenne al suo interno esponenti liberali, monarchici e nazionalisti che non potevano certo essere tacciati di illiberalità congenita. Il Fascismo infine ebbe tra i suoi esponenti di vertice per almeno venti anni numerosissimi ebrei e massoni, varò la legge di annessione dell’Etiopia in cui concedeva ai sudditti del Negus lo status di cittadini italiani e rispettò i culti religiosi non cattolici, pur dichiarando la religione cattolica religione dello stato.Per questo l’equazione democrazia – antifascismo è storicamente, culturalmente ed ideologicamente errata, il Fascismo non contenne ontologicamente quei tratti di illiberalità, discriminazione e coercizione che Fini gli ha attribuito, atteggiamenti illiberali o discriminatori vi furono, ma non rappresentarono l’essenza storica e sociale del regime che fu invece tendenzialmente inclusivo proprio perché totalitario e varò, ad esempio, una vera e propria rivoluzione culturale sul ruolo della donna nella famiglia e nella società e fece della questione meridionale una vera questione nazionale.Un vero democratico deve sicuramente criticare le leggi fascistissime e quelle razziali, così come deve criticare i campi di sterminio inglesi nella guerra contro i Boeri, lo sterminio delle popolazioni congolesi operato da Leopoldo del Belgio ed il maccartismo che mandò al patibolo Sacco e Vanzetti; un vero democratico, però, non si sognerebbe certo di redigere l’equazione democrazia – antiregno elisabettiano o democrazia – antiamericanismo. Fini questo lo sa ma da qualche anno abbacinato dal miraggio del potere continua a segnare una discontinuità con la storia del movimento che dirige pressoché ininterrottamente da venti anni infischiandosene del sangue e della storia di quel movimento, insozzando la memoria di grandi italiani che non hanno mai pensato di stare dalla “parte sbagliata” e che gli hanno consegnato un movimento che aveva attraversato il fango della prima repubblica senza insozzarsi nemmeno l’alluce di un piede. Per questo, e non per rincorrere fumosi processi di aggregazione di forze politiche per la costruzione di un partito di gestione del potere, è nata La Destra, per questo ci avviamo ad un congresso che confermi la volontà dei nostri iscritti di proseguire nell’affermazione dei valori e degli ideali che dal manifesto fondativo del 26 dicembre 1946 del M.S.I. hanno contrassegnato fino ad oggi la battaglia politica della destra italiana.
Livio Proietti, garante degli iscritti e segretario amministrativo

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